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La differenza tra “essere chiari” ed “essere prevedibili” nella comunicazione istituzionale

Nella comunicazione pubblica, “essere chiari” è spesso considerato un principio intoccabile. E giustamente: chiarezza significa accessibilità, trasparenza, rispetto del destinatario. Ma quando il desiderio di essere comprensibili si traduce in messaggi piatti, prevedibili e impersonali, qualcosa non funziona più. Troppo spesso la chiarezza diventa sinonimo di linguaggio neutro, ripetitivo, privo di identità. Il risultato? Una comunicazione che non lascia traccia, non coinvolge, non viene ricordata. In un contesto dove la concorrenza informativa è alta, anche per le PA e gli enti pubblici diventa fondamentale distinguere tra l’essere chiari e l’essere banali.

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Cosa succede ai contenuti dopo che li pubblichi? Una guida alla manutenzione editoriale

Pubblicare un contenuto è solo l’inizio. In molte realtà, soprattutto nella pubblica amministrazione e nelle piccole e medie imprese, la comunicazione si concentra quasi esclusivamente sulla produzione e sulla pubblicazione. Una volta online, l’articolo, la pagina informativa o il post social viene “dimenticato”, come se il suo ciclo di vita si esaurisse nell’atto di renderlo pubblico. Ma la verità è un’altra: un contenuto continua ad agire, influenzare, posizionare e informare anche molto tempo dopo la pubblicazione. E proprio in quella fase successiva si gioca la sua vera efficacia. Ignorare ciò che succede ai contenuti pubblicati significa accettare un lento declino del patrimonio informativo digitale. Al contrario, un approccio editoriale che preveda la manutenzione dei contenuti consente di estenderne la vita utile, migliorarne l’efficacia e rafforzare la coerenza della comunicazione.

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Comunicare progetti piccoli con dignità e impatto

Non servono grandi numeri per raccontare un buon progetto. Serve una buona strategia. In comunicazione, spesso ci si fa piccoli da soli. Accade quando un progetto locale, circoscritto o con budget ridotto viene raccontato con esitazione, come se non fosse “abbastanza”. “Non abbiamo grandi numeri”, “è un progetto piccolo”, “non so quanto valga la pena comunicarlo”. Eppure, ogni progetto che migliora la vita anche solo di poche persone ha un valore. Il problema non è nella portata, ma nella narrazione. Se si parte dal presupposto che “non è rilevante”, il rischio è quello di auto-marginalizzarsi e rinunciare a un’opportunità comunicativa.

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Oltre il piano editoriale: come creare una cultura comunicativa in team

Molte organizzazioni investono tempo e risorse per costruire piani editoriali dettagliati, con contenuti ben pianificati e calendari condivisi. Eppure, troppo spesso questi documenti restano confinati in una cartella, raramente letti da chi non fa parte del team comunicazione. Perché succede? Perché la strategia, da sola, non basta. Senza una cultura comunicativa diffusa, un piano resta un esercizio teorico. Nessuna pubblicazione regolare, nessun tone of voice coerente, nessuna narrazione organica può davvero funzionare se non è compresa, interiorizzata e sostenuta da chi lavora quotidianamente dentro l’organizzazione.

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Riunioni, verbali, email: anche la comunicazione interna è comunicazione pubblica

Molte organizzazioni lavorano ancora come se esistessero due comunicazioni distinte: quella “interna”, fatta di email, report, riunioni… e quella “pubblica”, fatta di conferenze, social, comunicati. Ma questa distinzione non regge più.

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